COMUNICATO STAMPA: Necessario dialogo con i paesi del Mediterraneo per evitare tragedie come il naufragio di Lampedusa

Terribile il bilancio di questa ennesima tragedia nel mar Mediterraneo: secondo i 150 superstiti, mancano ancora 250 persone all’appello, per ora sono un centinaio i corpi recuperati tra i quali anche quattro bambini e una donna incinta.
E’ già cominciato il gioco politico delle accuse reciproche al quale nel nostro paese siamo malauguratamente fin troppo abituati, ma di fronte a un dramma umano di queste dimensioni preferiremmo discutere, senza far passare neppure una sola ora di tempo prezioso, su come ripensare radicalmente le politiche di immigrazione del nostro Paese immutate dal 2002. La cosiddetta Primavera Araba non è stata sufficiente a stimolare un sistematico dibattito sull’argomento. E nel frattempo, il Mediterraneo si sta trasformando in un cimitero di acqua.
“Aprire un rapporto con i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo”: questa è la strada da percorrere secondo Orazio Micalizzi, presidente di Fondazione Xenagos. “Se i flussi e gli scambi tra il nostro e questi paesi venissero inquadrati in una gestione condivisa a livello politico,” dichiara Micalizzi, “il rischio di questo tipo di tragedia potrebbe diminuire drasticamente.”
“Alla luce degli ultimi eventi geopolitici,” aggiunge Mauro Maurino, vicepresidente di Fondazione Xenagos, “è necessario riflettere sul significato della chiusura delle frontiere. Credo che l’Europa si debba sentire chiamata ad interrogarsi sull’adeguatezza delle proprie politiche migratorie.”
L’imbarcazione naufragata, proveniente dal porto libico di Misurata, trasportava circa cinquecento migranti eritrei e somali. “Chissà che cosa hanno vissuto da quando sono partiti dal loro paese di origine,” si chiede Salvatore Ippolito, presidente del comitato scientifico di Fondazione Xenagos. “I somali potrebbero aver passato lunghi anni nei campi profughi del Kenya. E probabilmente era da molto tempo che attendevano l’occasione giusta per lasciare la Libia,” aggiunge. Secondo Ippolito, gli ultimi sbarchi dimostrano che in Libia si è riaperta l’attività degli scafisti. “In Africa,” dichiara infine, “ci sono conflitti cronici, annosi, irrisolti – come quelli in corso in Somalia e Eritrea – che producono i drammi umani alla base delle diaspore. E’ indispensabile,” conclude Ippolito, “cessare di ignorare queste guerre e portarle al centro dell’attenzione dell’Europa per evitare che in futuro si ripetano ecatombi come questa”.